LA GENTE D'ITALIA (URUGUAY)/ IMPRENDITORI ITALIANI IN URUGUAY/ LUCIANO SACCHET: VOGLIO DI PIÙ

di Stefania Pasavento

VENERDÌ 28 SETTEMBRE 2012 16:36

MONTEVIDEO\ aise\ - "Sobrietà e dinamismo. Capacità e volontà di iniziare un progetto e non mollare quando si presentano le difficoltà.

Queste in sintesi è ciò che si può evincere dopo pochi minuti in compagnia di Luciano Sacchet, un imprenditore italo – uruguayano molto fiero delle proprie origini e soprattutto della regione che ha dato i natali a tutta la sua famiglia, il Veneto". Ad intervistarlo è stata Stefania Pasavento per "Gente d'Italia", quotidiano delle Americhe diretto da Mimmo Porpiglia.

"Entriamo nel suo ufficio poco lontano dal porto di Montevideo. L'ambiente riflette perfettamente la personalità dell'imprenditore: pochi fronzoli e molta sostanza. Spicca un angolo dedicato completamente alla Regione Veneto, con alcune foto, dei piccoli quadri e tanti libri sull'Uruguay e il Veneto. La concentrazione dell'interesse di un uomo che crede fermamente nel beneficio che possono arrecare i ponti, quelli tra l'Uruguay e la Regione del Leone.

Nato da genitori italiani emigrati in Uruguay nel 1949, Luciano ha appreso il significato e il valore del lavoro già in tenera età. "Odiavo in un certo senso l'arrivo delle vacanze, perché io dovevo lavorare. Certo non una maniera divertente di passare la pausa estiva. Ho fatto di tutto, dal panettiere al magazziniere. A quattordici anni scaricavo i sacchi di cemento dai camion per un'impresa locale. Ho lavorato come operaio, in una scuola che si trova tra Rivera e Commercio, ho letteralmente eretto pareti ed ero giovanissimo. Mio padre, facendomi lavorare mi ha insegnato ad appassionarmi al lavoro ed è così che si impara a crescere: gliene sono grato. È arrivato qui nel 1949, con la mamma e mia sorella, nata pochi anni prima. Ci ha cresciuti fissando in noi i valori dell'indipendenza e della sobrietà. Siamo e restiamo figli di emigranti che hanno dovuto imparare a cavarsela da soli, ben lontani da dove avrebbero pensato di trascorrere la propria vita. E l'hanno fatto egregiamente".

C'è molto orgoglio nelle parole di Sacchet, un uomo che ha saputo rimboccarsi le maniche e creare un'impresa, la Winston S.A., che conta oggi con più di 60 impiegati.

"Non mi piaceva studiare, neanche un po'. E quindi non ho ricevuto una formazione di livello superiore, ma ho iniziato a lavorare presto e sono cresciuto così, fino ad imparare a gestire un'impresa come questa, sia dal punto di vista amministrativo che finanziario. Tutto quello che so l'ho imparato sul campo. Certo, guardandomi indietro, mi sarebbe piaciuto frequentare dei corsi di specializzazione, ma non l'ho fatto. Magari avrei potuto fare di più, questo è certo".

D. Com'è iniziata la sua avventura imprenditoriale?

R. Avevo circa venticinque anni, quando mi sono detto: Voglio di più. Un buon lavoro, una moglie e due bambini, non mi potevo lamentare. [I bambini sono oggi un medico e un architetto, che lavora alla Winston ndr.] Ma avevo bisogno di crescere e di sentirmi fiero di me stesso. Ho lasciato il lavoro per iniziare la mia avventura da imprenditore. Non potevo permettermi di rincorrere i miei sogni senza pensieri, sia ben chiaro. A casa a fine mese dovevo portare lo stipendio, dovevo mantenere la mia famiglia e non avevo certo intenzione di far soffrire loro per dei capricci. Con il mio socio attuale, Alfredo Acosta, abbiamo iniziato ad utilizzare come fabbrica un garage. Io ho venduto la mia FIAT 600 per comprare un pickup, una vecchia camionetta in realtà, per trasportare quello che ci serviva. Avevamo, per qualche strana ragione, anche 20 litri di pittura. E siamo partiti.

D. Cosa producevate?

R. La verità è che facevamo qualsiasi cosa. Volevamo e dovevamo portare a casa almeno quanto guadagnavamo nei nostri precedenti lavori. Io mi occupavo della parte più commerciale, uscivo, vedevo in cosa potevamo avventurarci, basicamente chiedevo alla gente di cosa avesse bisogno. Producevamo reti, inferriate, veramente tutto quello che ci venisse richiesto, senza limiti fissati previamente. È così che nasce Winston S.A., impresa specializzata nella realizzazione di produzione e collocazione di strutture metalliche, un'azienda che non ha perso la flessibilità dei propri fondatori e che si occupa tanto di piccole strutture, i galpones rurales, quanto di grandi opere come l'Hipercentro del Parque Rooselvet di Montevideo o alcune parti dell'aeroporto di Carrasco.

D. Come siete approdati all'industria metallurgica?

R. Il percorso è stato abbastanza peculiare, io non avevo alcuna idea di cosa fossero ferro e acciaio. Zero assolto. Ma come dicevo, tutto si può imparare sul campo. Io ho imparato. Se uno ha la buona volontà ce la fa, non servono grandi doti. Certo, se sei intelligente ci arrivi prima, ma se vuoi, ci arrivi comunque. Non è necessario un grande ingegno. Oggi produciamo strutture in ferro e acciaio per capannoni e la nostra fabbrica è cresciuta nel tempo. Oggi contiamo con uno spazio di più di 5,000 metri quadrati, ma presto ci sposteremo in uno di circa 10,000 metri quadrati.

D. Un'impresa con un grande potenziale, che non vuole crescere troppo.

R. La questione crescita è alquanto complessa. Potremmo crescere di più, sì. Il mercato uruguayano negli ultimi cinque anni si è incredibilmente espanso e ci sono tutti i presupposti per continuare a crescere. Ma essendo uruguayani abbiamo imparato una cosa: bisogna sempre contare con la flessibilità necessaria per affrontare una crisi, non frenare, ma avere il piede sul o vicino al freno, per poterlo fare rapidamente se si rende necessario. Ci siamo già passati due volte. Economicamente non siamo stati danneggiati, ma bisogna fare attenzione. È obbligatorio mantenere la flessibilità necessaria per rispondere ad eventi negativi. Se noi ci espandiamo, se assumiamo e arriva una recessione, dove mandiamo gli operai?

D. La Winston S.A. non rinuncia certo alle opportunità che le dà il mercato e con le sue metodologie produttive esclusive per l'Uruguay e l'accento sulla produttività, ha deciso di vendere il proprio prodotto solo a livello nazionale.

R. Se siamo cresciuti molto negli ultimi anni è grazie al mercato interno, che ha apprezzato i nostri prodotti. Puntando sulla produttività abbiamo dovuto affrontare grossi investimenti, ma bisogna farli, anche se abbiamo deciso di dire no all'export. Troppo complesso per il nostro mercato, fortemente sviluppato nei due giganti che abbiamo come vicini e che ci costerebbe troppo in termini di entrata e potrebbe regalarci poco piacevoli perdite.

D. Non esportate, ma sicuramente dovrete affrontare la concorrenza straniera, come vi comportate al riguardo?

R. Stiamo sempre attenti a cosa succede all'estero e a mantenere alto il livello di produttività, anche se ovviamente non siamo a livelli europei. Siamo stati invitati in Spagna qualche anno fa, per vedere delle linee di produzione finalizzate all'aumento della produttività: impressionante, ma carissimo: 17 milioni di euro per linea. Per un'impresa delle nostre dimensioni non è possibile disporre di una somma del genere e se avessi quei soldi credo che mi ritirerei a vita privata.

D. Ci sono sempre le linee di credito…

R. In questo sono (e il mio socio è come me) molto veneto, non abbiamo mai chiesto un prestito e non lo vogliamo chiedere. Io e Alfredo siamo coscienti del fatto che se si vuole fare qualcosa va compreso quali siano i propri mezzi, inutile sognare sulla base di mutui, si può cadere nel baratro in men che non si dica.

D. Ventisei anni di sodalizio con il suo socio, una liasion che pochi possono vantare, come ci riuscite?

R. Siamo una "coppia" che funziona, assolutamente diversi: io tifo Nacional e lui Peñarol, io amo l'amministrazione e lui deve essere operativo, stare fuori con gli operai, ma non abbiamo mai discusso in tutto questo tempo. Rispettiamo i nostri spazi e abbiamo imparato a delegare e a fidarci ciecamente l'uno dell'altro: funziona a meraviglia.

D. Torniamo alle sue origini. Cosa c'è di Veneto nell'imprenditore Luciano Sacchet?

R. Ci sono i valori che mi ha trasmesso mio padre, la voglia di farcela. E anche quella di restare in contatto con il Veneto, cosa che mi impegno a fare, vorrei sottolinearlo, in maniera volontaria, attraverso il CAVU (Comitato delle Associazioni Venete in Uruguay) e come Vicepresidente della consulta dei veneti nel mondo. Si tratta di quello che chiamerei una vocazione. Voglio sfruttare tutte le opportunità per i nostri Paesi, perché questo può farci solo del bene. I progetti sono sempre molti e vorrei, attraverso l'aiuto di Union Camere Veneto avvicinare gli imprenditori veneti all'Uruguay, sarebbe l'ora di passare dalle presentazioni in power point che descrivono l'Uruguay come il paese delle meraviglie e nulla più, a delle opportunità vere per le industrie. Un imprenditore medio - piccolo non cerca le statistiche delle società di consulenza, cerca concretezza, è questo che ci serve. Ho investito il mio tempo libero per andare in Italia e promuovere il nostro Paese e non l'ho fatto per guadagnarci, né per viaggiare. Conosco solo il Veneto e poco più in Italia.

D. Non ha mai viaggiato attraverso lo stivale?

R. Poco, il mio primo viaggio l'ho fatto a sette anni. Andata e ritorno in nave, ho ancora il biglietto, due settimane l'andata e due per il ritorno. Ora viaggio spesso, ma solo verso il Veneto, basicamente per promuovere l'Uruguay, perché ci credo. L'Uruguay non è certo il Paese con più veneti nel mondo, ma grazie al lavoro di tutti, siamo riusciti a fare tanto: abbiamo ospitato persino la riunione annuale del Comitato dei Giovani veneti all'estero nel 2008 e siamo solo un lembo di terra. Possiamo fare le cose per bene e continuare a crescere, basta volerlo. Non abbiamo alcun dubbio in proposito".

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